L’endometriosi è una patologia che colpisce una donna su dieci. In molti casi compare sin dall’adolescenza, anche se spesso la diagnosi viene fatta nel periodo che va dai 25 ai 35 anni, e può perdurare fino alla menopausa. Vediamo insieme di cosa si tratta, come riconoscerla e quali progressi ha fatto la medicina in termini di endometriosi.
Endometriosi: di cosa si tratta?
L’endometriosi è la condizione in cui l’endometrio, tessuto presente all’interno dell’utero, si sviluppa esternamente (nell’addome, nelle ovaie e così via). Perché si verifica questa anomalia? L’ipotesi è che durante le mestruazioni, alcune cellule anziché seguire il normale percorso, tornino indietro, verso tube, ovaie, addome ecc. a causa delle contrazioni uterine. Si tratta della teoria di Sampson o teoria delle mestruazioni retrograde. Questa anomalia si traduce in un’infiammazione cronica, che rende l’endometriosi dolorosa e invalidante. In molti casi è genetica, quindi si ha più probabilità di avere l’endometriosi se in famiglia qualcuno ne ha sofferto o ne soffre.
Endometriosi: la diagnosi
Spesso l’endometriosi non viene diagnosticata subito perché può essere asintomatica, oppure perché la donna non associa i sintomi a questa patologia.
Quali sono i sintomi?
I sintomi dell’endometriosi sono:
- dolori pelvici costanti
- dolore forte durante le mestruazioni (dolori che non scompaiono dopo l’assunzione di farmaci antidolorifici o antispastici)
- dolore durante i rapporti sessuali
- dolore durante minzione o defecazione
- perdite abbondanti
- irregolarità del ciclo
- difficoltà nel concepimento
Purtroppo, nonostante sia una condizione ormai riconosciuta, molte donne trascorrono anni (in media sette) in una condizione fisica disagevole e a tratti invalidante, proprio perché non riconoscono i sintomi o li accettano come naturale condizione (il ciclo mestruale è doloroso e va accettato). L’importanza di una diagnosi precoce è però fondamentale non solo per migliorare la qualità della vita quotidiana (sia dal punto di vista fisico che psicologico) ma anche per prevenire l’infertilità, una conseguenza da non sottovalutare (30-40% dei casi).
Come si diagnostica?
Se si hanno questi sintomi (che in realtà sono simili ad altre patologie quindi per questo spesso non associate all’endometriosi), è bene parlarne col ginecologo per verificare la presenza o meno di cellule dell’endometrio “fuori sede”. La patologia può essere riconosciuta mediante ecografia transvaginale. In alcuni casi, però, sarà necessario effettuare una risonanza magnetica, in particolare se non coinvolge organi “ginecologici” ma altri organi come l’intestino ecc.
Gravità della condizione
L’endometriosi può essere classificata in 4 stadi in base alla sua gravità:
- Stadio 1: Minima
- Stadio 2: Lieve
- Stadio 3: Moderata
- Stadio 4: Grave
Come si tratta l’endometriosi?
Quando non si ha sintomatologia e non si desidera una gravidanza, solitamente l’endometriosi non viene trattata. Nel momento in cui però, si decide di cercare un figlio oppure se i sintomi iniziano a peggiorare, allora sarà bene iniziare una terapia per tenere a bada la patologia.
Terapia farmacologica
La terapia farmacologica è la prima cosa da fare, soprattutto in caso di sintomi. Non curerà la malattia, ma ridurrà i sintomi e migliorerà la qualità della vita della donna. Solitamente si tratta di farmaci a base di progesterone e pillole anticoncezionali specifiche. Possono poi essere prescritti altri farmaci specifici.
Chirurgia
Se il medico lo reputa necessario, si può ricorrere anche alla chirurgia. In questo caso l’operazione di laparoscopia servirà ad asportare il tessuto endometriale “fuori sede” ed eventuali cisti. L’operazione, molto delicata, deve essere eseguita in centri specializzati da chirurghi esperti. Nella maggior parte dei casi si arriva alla chirurgia se la paziente non risponde alla terapia farmacologica o se non può sottoporsi ad essa (in particolare se desidera una gravidanza).
Anche una corretta alimentazione può aiutare a ridurre i sintomi dell’endometriosi. In particolare l’assunzione di fibre che, oltre ad aiutare l’apparato digerente, riducono il livello degli estrogeni. Anche un buon apporto di Omega 3 è fondamentale, poiché contribuisce ad aumentare la prostaglandina PGE1 utile per ridurre i processi infiammatori.